Più che una Via Crucis è una Via Lucis

Più che una Via Crucis è una Via Lucis

Giovanni Lerede

Fabio Basile ha realizzato la “Via Crucis” per la Chiesa parrocchiale Maria SS. Ausiliatrice nel 2001. Committente, l’allora parroco don Pasquale Pirulli. Tuttavia si può dire che tale opera sia (ri)nata ufficialmente il 25 marzo 2012, quando finalmente è stata tirata fuori dall’immeritato oblio in cui era.vialucis1
L’occasione della rinascita è arrivata per caso dalla provvidenza, il fato, il caso, gli angeli o chissà quale santa presenza. Ci si è accorti delle 15 formelle in terracotta (cm 50×70) solo quando una di esse, l’ultima raffigurante la Resurrezione, si è staccata dalla parete in alto frantumandosi in mille pezzi. A cadere, per fortuna, è stata proprio la formella di cui si aveva una copia realizzata in bronzo come prova d’autore e collocata all’esterno della chiesa. Un doppio richiamo, un doppio aiuto, un’occasione quindi da non perdere non solo per una semplice spolverata, pur necessaria, ma per una ricollocazione dell’opera più adeguata alla contemplazione e alla preghiera.
Il parroco don Maurizio Caldararo le ha dunque riaffidate alle cure dell’autore per un restyling generale, realizzato nella bottega d’arte in via Sedile.
Il maestro Basile − creativo dal segno forte ed inquieto, modellatore di argille tenere e pietre dure, artista ‘laico’ ma allo stesso tempo devotamente ispirato da una religiosità dell’animo – si è ripreso con gioia in carico questi 15 figli dimenticati. Lavoro di smalti, acrilici e foglie d’oro; ritocchi di pennello e nuove cornici. E finalmente l’opera iniziata undici anni prima si poteva dire completata, con l’aiuto, come lui stesso afferma, di una divinità consigliera, in sembianze di Angelo custode, guida risolutiva quando l’incertezza assale.vialucis2
Il 25 marzo l’inaugurazione ufficiale mai realizzata, come ha ricordato il parroco di allora don Pasquale Pirulli; quell’estate non ci fu il tempo per farla e don Maurizio, questa volta, approfittando del tempo di Quaresima, ha voluto far le cose per bene, chiamando intorno ad un tavolo illustri e competenti relatori a conversare di arte e liturgia, avendo di fronte le luminose 15 stazioni di Basile: don Pirulli, parroco e teologo; don Vito Castiglione Minischetti, parroco e responsabile del Servizio per i Beni culturali della Diocesi di Conversano-Monopoli; l’arch. Giuseppe Giannini, docente di Restauro architettonico presso l’Università del Salento e Ispettore onorario della Soprintendenza.
Mentre gli ospiti e l’autore conversavano con il pubblico, mi sono a lungo soffermato a guardare l’opera da vicino e ho convenuto con Basile su ciò che mi aveva detto qualche giorno prima: “la mia più che una Via Crucis è una Via Lucis”. Dalle tenebre dell’uliveto di Getsemani (prima stazione), il percorso di meditazione prosegue avendo come filo conduttore un accennato bagliore nel fondo, che nell’ultima stazione (la Resurrezione) esplode in tutta la sua forza spirituale per diventare protagonista nel trionfo della vita sulla morte. Il Cristo risorto è abbagliante d’oro e di speranza; la luce, prima solo intuita, qui è protagonista. E’ in fondo alla via la speranza della rinascita!
Si è discusso molto durante la serata del fondamentale ruolo delle arti visive nella liturgia cattolica. L’umanità ha voluto “vedere Gesù” − ha detto don Castiglione Minischetti − e l’arte è giunta in suo soccorso, dando sembianza alla divinità, rendendo visibile l’invisibile, portando in terra ciò che sta in cielo. E’ un compito che continua ad essergli proprio: segni e linguaggi si adeguano ai tempi, la fonte di ispirazione rimane eterna: i Vangeli. La Via Crucis di Basile, insomma, si colloca in quel filone d’opere d’arte ispirate, fecondo in ogni tempo, che ha prodotto immensi capolavori, e al tempo stesso ha permesso al messaggio cristiano di divenire universale e compreso dalle moltitudini.
L’arte e la religione sono un connubio inscindibile, in quanto l’una è nell’altra; tuttavia è necessario che le opere presenti nelle aule liturgiche (vecchie e nuove) non siano semplici elementi decorativi ma fonte continua di ispirazione spirituale. Il progetto e la realizzazione della ‘casa di Dio’ non è mai stato semplice, in ogni tempo; le chiese tuttavia non sono musei ma luoghi di preghiera, come si è spesso ricordato durante l’incontro. L’ansia dei nostri tempi − in questo concordo con quanto affermato da don Castiglione Minischetti − non agevola la realizzazione di spazi adeguati al raccoglimento in preghiera, anzi produce architetture lontane da Dio, poco ispirate.
Sarebbe bello (ma senza fretta) lavorare ad un progetto di ampio respiro che porti alla rinascita di tutto il complesso dell’Ausiliatrice, negli spazi di dentro e di fuori. Ma, forse, qualcuno ci sta già pensando.

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